Pellegrini di speranza
È una caratteristica fondamentale dell’uomo sperare, ma ciò che lo qualifica è il modo con cui spera. Fin dai primordi si racconta che l’uomo ha percepito previsioni liete o tristi del suo futuro; nel dover sperimentare la sofferenza e l’angoscia in alcuni momenti del presente, ciò che gli dà forza è continuare ad avere speranza. Non è un caso che il mito del vaso di Pandora ritorna con il suo significato attuale: Zeus aveva donato all’uomo un vaso colmo di ogni tribolazione, ma non doveva essere aperto. La curiosità di Pandora ebbe la meglio e all’apertura del vaso ne uscirono tutti i mali contenuti; appena ebbe l’accortezza di richiuderlo in fretta, in fondo rimase solo la speranza con il compito di confortare l’umanità.
Nella sacra Scrittura, a differenza del mondo greco, la speranza non è mai considerata come un’attesa neutrale e generica; anzi, è distinta dal timore che si ha verso il futuro perché è sempre caratterizzata dall’attesa del bene. Fin quando l’uomo ha vita porta con sé la speranza. Questa non è un’evasione dal presente con i suoi problemi, ma è il fondamento che dà sicurezza all’esistenza di quanti si affidano a Dio. Ecco perché nei testi sacri la speranza è sempre accostata alla fiducia e all’amore: nelle situazioni di sofferenza e pericolo l’uomo si rivolge a Dio con la speranza di essere liberato. Un testo del profeta lo esprime chiaramente: “Dio è la mia salvezza, non avrò timore, perché mia forza e mio canto è il Signore. Egli è stato la mia salvezza” (Isaia 12,2). Insomma, mentre l’uomo può in qualche modo disporre del suo presente, non così può fare del suo futuro. Gli rimane solo l’abbandono fiducioso carico di speranza in Dio. Per i primi cristiani la speranza si raccoglie in tre momenti: l’attesa del futuro, la fiducia in Gesù Cristo e la perseveranza nell’attesa del suo ritorno. Paolo ne fornisce una sintetica “definizione” quando scrive: “Nella speranza siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza” (Romani 8,24-25). I cristiani, quindi sono identificati dall’apostolo come coloro che sono “lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera” (Romani 12,12). L’essenza del cristianesimo si raccoglie, pertanto, nell’unità inscindibile della fede con la speranza e la carità.
La speranza va incontro a tutti e non rifiuta nessuno. Il suo è un movimento dinamico non uno stare statico. Il motto del Giubileo “Pellegrini di speranza” intende riportare questi concetti fondamentali coniugandoli con il cammino che il pellegrino, inoltre, è tenuto a realizzare. Un percorso in cui non solo è guidato e accompagnato dalla speranza, ma soprattutto che cresce nella speranza. La fede e l’amore sono come tenute per mano e trascinate dalla speranza che permette loro di realizzarsi in modo coerente e pieno. Egli è chiamato a “dare ragione della speranza” (1 Pietro 3,15).